La fenotipizzazione (ne parlo a pag. 12 del libro), è l’estrapolazione delle caratteristiche somatiche di una persona a partire dal suo DNA; un aspetto particolare di questa metodologia riguarda la ricostruzione della morfologia facciale, o l’identikit. Nel corso degli ultimi anni sono stati condotti una decina di studi di associazione genomica (genome-wide association studies, pag. 39), alla ricerca di polimorfismi a singolo nucleotide (SNP) che siano predittivi di specifiche caratteristiche del viso. In questo tipo di analisi diverse migliaia di individui vengono tipizzati ciascuno per centinaia di migliaia o milioni di SNP, e a ciascun profilo genetico viene abbinata l’immagine tridimensionale ad alta risoluzione del volto. È così possibile correlare la distanza fra punti di riferimento sul viso a specifiche varianti genetiche, e costruire quindi un algoritmo che faccia il percorso inverso, dal DNA al volto. Sono stati finora identificati oltre 50 loci, le cui varianti sono più o meno associate ad una trentina di tratti facciali; va detto, tuttavia, che la predizione del viso sulla base di tali polimorfismi non migliora di molto quella che si può ottenere, sempre dal DNA, per l’appartenenza etnica, il sesso e l’età. C’è ancora molto da fare in questo campo.
Un articolo del New York Times (3 dicembre 2019) riporta che un gruppo di ricerca cinese, basato nella città di Tumxuk, nella regione cinese del Xinjiang all’estremo confine occidentale, abitata dagli Uiguri, sta attivamente cercando di trovare il modo per utilizzare il DNA per creare l’immagine del volto di una persona. Negli articoli pubblicati su riviste internazionali (link1, link2) gli autori affermano di aver seguito le norme etiche riconosciute globalmente, che richiederebbero la volontarietà della donazione dei campioni biologici e la sottoscrizione di un “consenso informato”, ma si sospetta che nello Xinjiang tali norme siano violate. Secondo alcuni uiguri espatriati, il governo raccoglie campioni sotto la veste di un programma obbligatorio di controllo sanitario, quindi senza bisogno di chiedere il consenso e senza vincolarsi a riportare i risultati a ciascun individuo; inoltre nella regione dello Xinjiang oltre un milione di uiguri sono internati nei campi di “rieducazione”, e non hanno evidentemente possibilità di scelta.
Data la repressione vigente nello Xinjiang, gli esperti temono che la Cina stia costruendo uno strumento che potrebbe essere usato a fini discriminatori contro gli Uiguri, e in futuro contro altre minoranze. A lungo termine potrebbe infatti essere possibile utilizzare le immagini prodotte da un campione di DNA per inserirle nei sistemi di sorveglianza di massa e di riconoscimento facciale che la Cina sta costruendo, migliorando quindi la capacità di rintracciare e controllare i dissidenti e i contestatori.
La comunità scientifica statunitense si mostra allarmata, soprattutto dal fatto che il frutto degli sforzi della collettività scientifica internazionale, per sua natura aperta alla condivisione dei risultati, possa essere utilizzato per scopi polizieschi in violazione dei diritti umani fondamentali.
Chissà dove stiamo andando…